In questa pagina approfondimenti tratteremo i seguenti argomenti:
L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito le cefalee tra le 20 patologie più invalidanti tra le donne di età compresa 15 – 45 anni, tuttavia risulta essere una patologia presente anche tra gli uomini con un’incidenza piuttosto alta (15 % tra le donne e 6% tra gli uomini). In Italia si stima che circa 6 milioni di persone soffrano di “mal di testa”. Soffrire di questa patologia non significa provare solo dolore ma, come ormai riconosciuto anche dall’OMS, soffrire di una patologia che comporta ricadute anche sulla qualità di vita, visto che l’evento può durare da alcune ore anche ad alcuni giorni e presentarsi per un lungo periodo. E’ importante, quindi, trattare adeguatamente questo disturbo, sia da un punto di vista farmacologico ma anche dal punto di vista emotivo e comportamentale. Risulta molto frequente che una cefalea o un’emicrania non trattata in maniera efficace possa essere fattore di rischio per l’insorgenza di altri disturbi tra cui depressione e ansia.
La terapia cognitivo comportamentale e il BIOFEEDBACK risultano essere trattamenti Evidence-Based Medicine per questo disturbo.
Tra le forme più diffuse di cefalea primaria vi è senza dubbio la cefalea tensiva caratterizzata da un dolore bilaterale, costrittivo o gravativo, di intensità lieve o moderata. Questo tipo di cefalea è molto sensibile a fattori psicologici come l’ansia, la rabbia o a fattori stressanti che possono causare maggiore tensione muscolare. Trattamento d’ elezione per questo tipo di cefalea risultano essere le tecniche di rilassamento e il BIOFEEDDBACK, che hanno come scopo la riduzione della tensione muscolare. Il BIOFEEDBACK ha dimostrato un livello di efficacia pari a 4/5 ed è raccomandato per il trattamento della cefalea tipo tensivo e delle forme emicraniche in diverse linee guida tra cui quelle della American Academy of Neurology.
Può accadere che per contrastare il dolore acuto generato dalla cefalea episodica, che si presenta per pochi giorni durante il mese, la persona assuma una quantità di farmaci eccessiva. Questo uso non controllato dei farmaci comporta una trasformazione della cefalea da episodica a cronica. In questo caso il trattamento consigliato è di tipo multidisciplinare che associa ad una sospensione della terapia farmacologica l’uso di strategie non farmacologiche per la gestione del dolore, il riconoscimento dei fattori predisponenti e di mantenimento del dolore e quindi la loro gestione.
L’emicrania è un disturbo neurologico piuttosto comune, si stima che una persona su dieci ne soffra. L’attacco può essere preceduto da aura o meno. Si caratterizza per durata degli attacchi dalle 4 ore alle 72 ore, il dolore è unilaterale, pulsante, martellante, di intensità da moderata a grave e in genere aumenta con l’attività fisica. Vi può essere associata nausea, vomito, fotofobia, fonofobia e osmofobia. L’emicrania con aura è caratterizzata da sintomi neurologici che precedono la crisi, come ad esempio sintomi visivi (luce tremanti, offuscamento della vista, lampi…), sintomi sensitivi (sensazione di punture di spilli) e disturbi del linguaggio (afasia); tutti sintomi reversibili, cioè che scompaiono con la fine della crisi. Vi sono diversi fattori che possono scatenare o mantenere gli attacchi di emicrania, come ad esempio ansia, stress, tensione e anche relax (emicrania da week end). Inoltre, diversi studi evidenziano come vi sia un’elevata presenza di disturbi dell’umore e ansia nei pazienti emicranici.
Forse non è così conosciuto il fatto che le cefalee sono il disturbo più frequente tra bambini e adolescenti. Si stima in Italia una percentuale del 30% per i bambini dai 6 ai 10 anni, e del 14% negli adolescenti. Se non trattate adeguatamente queste forme di dolore possono mantenersi anche in età adulta in circa il 50%-70% dei casi. Molto spesso gli episodi di “mal di testa” sono così frequenti e intensi che interferiscono in maniera significativa con le attività scolastiche e sociali. Appare, quindi, importante non sottovalutare la cefalea nel bambino o adolescente anche perché spesso non vi è solo una causa organica ma è anche la manifestazione di un disagio emotivo o di difficoltà scolastiche, familiari o sociali. In considerazione di questi aspetti sarebbe auspicabile, al di là di una corretta diagnosi, un adeguato trattamento con metodiche non farmacologiche, tra di esse le tecniche di rilassamento, il biofeedback e la terapia cognitivo comportamentale risultano essere le scelte più efficaci e valide.
La sindrome fibromialgica (FMS) è una condizione dolorosa cronica che si caratterizza per dolore muscolo-scheletrico diffuso e altri sintomi a carico di organi e apparati, a quali, con la revisione dei criteri diagnostici, è stata dato maggiore importanza. Questi sintomi extra-scheletrici possono essere: disturbi del sonno, affaticamento, difficoltà di memoria o concentrazione, disturbi gastrointestinali, cefalea, disturbi uro-genitali. A questi si aggiungono, come confermato dagli studi scientifici, una presenza maggiore, rispetto ad altro tipo di dolore cronico diffuso, la presenza di depressione e ansia. Per quanto riguarda la depressione si stima una prevalenza del 70%, circa un 7 volte più alta rispetto alla popolazione generale, “dovuta principalmente sia per l’impatto negativo sulla tolleranza al dolore e sulla funzionalità socio-lavorativa del paziente” ( Conversano & Marchi, 2017). Anche la presenza di disturbi d’ansia è piuttosto significativa nei fibromialgici. Dal punto di vista terapeutico si nota l’importanza di associare alla terapia farmacologica, un ‘adeguata attività fisica e un trattamento psicoterapico cognitivo comportamentale. Per saperne di più clicca qui
Disturbo da ansia di malattia (Ipocondria). L’ansia per la salute è caratterizzata da una preoccupazione eccessiva di avere o contrarre una grave malattia. Questa preoccupazione porta ad interpretare ogni sintomo fisico, anche lieve, come sintomo di una malattia. Per gestire l’ansia molto spesso vengono ricercate rassicurazioni, utilizzati comportamenti di controllo oppure si evitano visite mediche e gli ospedali. Il disturbo può presentarsi con varie modalità: alcuni hanno frequenti pensieri intrusivi e sensazioni fisiche che le spingono a cercare rassicurazioni dai familiari, dagli amici o dai medici e che riducono la loro capacità di concentrarsi; altri sono talmente spaventati da ogni elemento che possa far sorgere il pensiero di una malattia da evitare il contatto con i medici per problemi fisici reputati minori fino ad arrivare, talvolta, anche a trascurare la propria salute; altri ancora potrebbero non rivolgersi a nessun medico per la convinzione che nessuno possa aiutarli.
Nel disturbo ossessivo compulsivo di relazione i dubbi ossessivi e le preoccupazioni riguardano le relazioni sentimentali intime. Questo tipo di disturbo ossessivo non è stato ancora inserito nel DSM-5, solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico sia di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014). Ad esempio dei dubbi ossessivi riguardanti le relazioni sentimentali potrebbero essere: “Lo/la amo veramente?”, “È davvero la persona giusta per me?” o immagini o impulsi come chiudere la relazione. Ai pensieri ossessivi si associano comportamenti compulsivi come: monitoraggio continuo dei propri sentimenti e pensieri sul partner e sulla relazione, ricerca di rassicurazione, fare confronti, cercare di annullare le ossessioni attivando ricordo momenti positivi vissuti col partner. I comportamenti compulsivi riducono l’ansia nel breve termine, ma peggiorano i sintomi nel lungo termine. Il disturbo ossessivo compulsivo di relazione si differenzia in due tipi: centrato sulla relazione (i dubbi e le preoccupazioni sono centrati sui sentimenti e la qualità della relazione), centrato sul partner (i dubbi e le preoccupazioni sono centrati sulle caratteristiche fisiche, capacità intellettuali e sociali, personalità del partner). In alcuni casi l’esordio sintomatologico consegue a decisioni importanti dal punto di vista relazionale, come ad esempio una proposta di matrimonio o l’avere figli.
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